Più ci penso, più sono sicuro che
niente mi è mai stato negato dalla
pietra senza dubbio fragile, ma ancora
vitale dopo secoli di fratture brutture.
I molti budelli di cui non mi preoccupo di
ricordare il nome riescono ancora ad incastr
arsi perfettamente l’uno nell’ altro, sia d’
inverno – rilasciando biancore languido, sia d’
estate – diviso e sempre arso.
Tutto è, in un certo senso, impuro qui
dentro: tutto è stato vissuto fino all’ ultimo
viscidume, fino all’ ultimo affetto, ed ora tutto
è ciò che c’è, in basso tra i cocci
in alto, negli sguardi dalle finestre.
Lo tolleriamo, camminando aspiranti nel
biancore languido dell’ inverno, diviso e
sempre arso – è piacevolmente caldo ed accogli-
ente all’anima, in pericolo di essere aspirata
verso una distante, senz’altro incerta vita.
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